A.D. 2155
I
“Oddio!”, mormora una signora con un filo di voce rotta dall’emozione. Le teste rivolte all’insù di tutti i passanti, man mano, imitando i presenti, individuano cento metri
più in alto un pazzo a passeggio sull’orlo del tetto di un palazzo. Gli agenti di polizia hanno iniziato a delimitare un’area di sicurezza nel tratto dove potrebbe precipitare l’uomo. Altri, insieme al personale medico specializzato, hanno imboccato l’ascensore che in pochi se- condi li porterà sulla terrazza dell’edificio.
L’ascensore corre silenziosamente e un sibilo fischia nella men- te ovattata dal silenzio e dalla tensione. Le modalità di intervento sono già state concordate in un veloce briefing. Gli uomini escono con passo svelto sull’ampia terrazza, da lassù, uno dei punti più alti di Tallinn, si vede tutta la parte meridionale della città. Un vecchio ponte di metallo arrugginito, ormai in disuso, spezza il verde del paesaggio intorno all’isolato. Il cielo cupo e la pioggia incessante completano il quadro di questo primo pomeriggio nel distretto di Nõmme. L’uomo sul cornicione si muove con andamento incerto. Sui trentacinque, ben vestito ma in disordine, ha il viso stravolto e gli occhi sbarrati come fosse in preda al panico. Parla da solo con voce troppo flebile e ciò che dice è trascinato via dai continui refoli di vento. I poliziotti con prudenza si allargano a ventaglio, mentre lo psichiatra e i tre infermieri puntano dritto al paziente. Il suo volto, di carnagione chiara, è scavato da rughe profonde che dànno forma alla sua sofferenza e gli occhi verde acqua, un pelo sporgenti, sono lucidi e oscillano incessantemente, incapaci di accettare quello che vedono. Passa le mani prima fra i capelli arruffati, poi le porta avanti e dise- gna cerchi nell’aria, muovendo le braccia gesticolando per comunicare qualcosa. Lo psichiatra si avvicina ulteriormente, mettendosi un poco di lato per farsi notare senza spaventarlo. Vuole scongiurare reazio- ni improvvise che potrebbero fargli perdere l’equilibrio. Così, per le stesse ragioni, non è ancora possibile sparargli un siero per sedarlo, né tentare di imbrigliarlo per essere certi che non precipiti. Il medico cerca lo sguardo del caposquadra, ma il poliziotto gli fa un cenno negativo con la testa. Di sotto ancora non sono pronti. Bisogna prendere tempo.
“La Dama ha parlato, è pronta, il passaggio sta per avvenire, e lei tornerà a far parte del tutto”, sussurra appena l’uomo.
“Chi è questa Dama di cui parli?”, gli chiede il medico, usando un tono di voce sommesso quanto il suo.
Nell’auricolare il medico riceve finalmente informazioni sul sog- getto da trattare dalla Centrale Operativa Mobile. Attraverso la mi- crocamera installata sui suoi occhiali la Centrale Mobile, posizionata per l’occasione ai piedi del palazzo, ha identificato la persona inqua- drata. Qualche altro istante e il medico vede proiettate sulle lenti tutte le informazioni sull’individuo necessarie per stabilire un contatto.
“Andrus, ti ascolto con piacere, se hai bisogno di aiuto sono qui”.
“La Dama l’ha detto al viaggiatore...”, e fa un passo incerto, oscil- lando sull’orlo.
Tutti trattengono il respiro, ma l’uomo rimane in piedi e recupera una posizione stabile.
“Possiamo chiamare questa Dama, se può farti piacere”.
Ma Andrus continua a guardare avanti a sé, verso l’orizzonte sfu- mato dal mare.
“Perché vi sento, non sono le mie mani... facce che si ripetono, sto impazzendo”.
Tiene la testa fra le mani e i capelli raccolti fra le dita strette dispe- ratamente. Si lamenta come se gli dolesse il capo, lo scuote e torna a battere sulle tempie, poi con le mani fa per spazzare via qualcosa davanti a sé.
“Abbiamo un ospite”, tramite auricolare il caposquadra avverte tutti i presenti.
L’uomo, un tipo magrolino dalla testa tonda e i capelli corti, sen- tendosi addosso lo sguardo dei poliziotti si affretta a riporre un ap- parecchio nero che impugna nella direzione del pazzo e ad esibire il distintivo tondo della stampa. Uno dei poliziotti gli si avvicina, dà un’occhiata al distintivo stampa dell’Eurasia e alla tessera di identifi- cazione e accerta che sia effettivamente un accreditato.
“Non possiamo cacciarti via, ma non azzardare a muoverti da qui o stanotte la passi in cella”, gli intima il poliziotto.
Il giornalista annuisce con deferenza, poi riprende in mano il di- spositivo nero e lo punta nuovamente.
Intanto ogni tentativo dello psichiatra va a vuoto. Andrus è in stato di trance, non percepisce attorno a sé nient’altro che quelle che a questo punto paiono essere pure allucinazioni. Le frasi sconnesse si ripetono e si arricchiscono di dettagli illogici e parole incomprensi- bili. Lo psichiatra chiede immediatamente lumi alla Centrale e da lì riceve conferma che non sta usando alcun idioma conosciuto.
Finalmente arriva l’ok dal basso, i poliziotti danno il segnale e lo psichiatra, vedendo fallito ogni tentativo di instaurare uno straccio di dialogo, acconsente alla sedazione forzata. Il cerchio degli agenti fa un passo avanti, convergendo verso Andrus. Il medico e gli infermieri indietreggiano, risucchiati dalle maglie degli uomini in divisa in len- to e costante avvicinamento. Le armi spianate hanno più soluzioni di tiro e il caposquadra opta per una sedazione controllata, fa un gesto convenzionale e i colleghi si piantano. I due designati calibrano il tiro e attendono l’ordine. Andrus è immerso nel proprio delirio e avanza incerto. Continua a pronunciare frasi incomprensibili, sorridendo e di- stendendo i tratti del viso fino a poco prima rigati da pesanti lacrime.
“Tirate!”.
Il proiettile sedante colpisce Andrus al centro del gluteo sinistro e penetra la carne, arrestando così la propria corsa e rilasciando il li- quido. Ma il laccio di sicurezza viene sparato dall’altro poliziotto con colpevole ritardo. Andrus, colpito al gluteo, si porta d’istinto la mano sul fianco, spostando repentinamente il proprio baricentro a discapito dell’equilibrio. Il laccio gli arriva addosso all’altezza del torace, ma non lo avvinghia come dovrebbe, stringendosi malamente attorno al tronco. Il poliziotto tenta lo strappo per trattenerlo, ma il laccio non si chiude e non lo trattiene. Altri lacci di sicurezza vengono sparati precipitosamente dai poliziotti, ma in ritardo.
Andrus mette un piede nel vuoto e scompare, accompagnato dalle urla dei passanti che, moltiplicandosi, crescono fino a divenire un unico grido di terrore.
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Ringrazio gli autori, nello specifico Marco Capocasa, per avermi contattata, proponendomi non solo di segnalare il loro romanzo, ma anche di leggerlo.
Quindi, come si dice, STAY TUNED perché il prossimo mese arriva anche la recensione!
Spero che questa mia segnalazione vi abbia incuriosito e vi ricordo di lasciare un feedback agli autori, qualora acquistaste il romanzo - e di far sapere anche a me cosa ne pensate.
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