mercoledì 8 luglio 2020

KITCHEN di Banana Yoshimoto | recensione | #gliamicidellavolpe

Buona sera mie piccole volpi!
Oggi inauguro una nuova rubrica,
e torno a parlarvi di libri!
Ma ciaoooooo!
Oggi, come avrete letto sia nel titolo che nell'intro, inauguro una nuova rubrica: GLI AMICI DELLA VOLPE.
Per il momento, di questo club esclusivo (seee, vabbè e dopo?!) fa parte una sola persona - che vi presenterò tra poco - ma con il tempo potrebbe arrivare qualcun'altro, chi può dirlo?!
In cosa consiste questa nuova rubrichetta?
Molto semplicemente, si tratta sempre di recensioni, ma scritte da altri e, ovviamente, di libri letti da altri.
Un giorno - parecchio lontano, vista la mia situazione critica - potrei recuperarli anche io, ma per ora si tratterà di romanzi che conosco ma che ancora devo leggere.
Bene, direi di cominciare con la recensione e col presentarvi l'autrice della suddetta!

KITCHEN

Kitchen
di Banana Yoshimoto

Editore: Feltrinelli/ I Canguri
Pagine: 160
Prezzo: 12,25€ (ebook 4,99€)
Pubblicazione: 1991
Link acquisto: cartaceo/ebook

Trama:
"Non c'è posto al mondo che io ami più della cucina...". Così comincia il romanzo di Banana Yoshimoto, "Kitchen". Le cucine, nuovissime e luccicanti o vecchie e vissute, riempiono i sogni della protagonista Mikage, rimasta sola al mondo dopo la morte della nonna, e rappresentano il calore di una famiglia sempre desiderata. Ma la famiglia si può non solo scegliere, ma anche inventare. Così il padre del giovane amico Yuichi può diventare o rivelarsi madre e Mikage può eleggerli come propria famiglia, in un crescendo tragicomico di ambiguità. Con questo romanzo, e il breve racconto che lo chiude, Banana Yoshimoto si è imposta all'attenzione del pubblico italiano mostrando un'immagine insolita del Giappone , con un linguaggio fresco e originale, quasi una rielaborazione letteraria dello stile dei fumetti manga.

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Prima di passare alla recensione vera e propria, direi che è il caso di presentarvi la personcina che ha scritto questa recensione, o no? Voi che dite?!
La recensione che leggerete tra poco (prometto che non sarò prolissa as usual, faccio la brava, ok?!) è opera della mia amica Jessica - ve l'ho nominata spesso nei recap mensili e anche in qualche recensione - che, ve ne renderete conto abbastanza in fretta, ha più o meno le stesse fisse (librose e non) che ho io e che, oltretutto, è una "lettrice accanita" come me.
Ecco quindi che, dopo una discussione su telegram, tanto per cambiare a tema libri, ci siamo ritrovate a parlare di blog e recensioni e l'ho ufficialmente assunta come "collaboratrice", affidandole il ruolo di primissima componente del club #gliamicidellavolpe!
Ed ora, vi lascio alle parole di Jessica!

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Se state cercando un libro di risposte, questo non fa al caso vostro.
Al contrario Banana Yoshimoto impedisce al lettore di mettersi tranquillo e fa mantenere l'attenzione ad un livello costante, come se qualcosa da un momento all'altro dovesse cambiare improvvisamente. Non permette di abituarsi, un cambio di scene rapido, come un sipario che si chiude e si apre senza sosta. Ti adatti ai personaggi senza sentirti coinvolto emotivamente, provi una leggera empatia ma senza per forza dover prendere posizione.
Ciò che colpisce è proprio l'ambientazione classica, in un Giappone apparentemente normale, senza stramberie, fin tanto che la protagonista Mikage non si trova orfana della nonna, unica parente in vita, e circondata da una famiglia che decide di adottarla. Esatto, decide di adottarla, come si adotterebbe un cucciolo. Il suo compagno di scuola Yuichi, molto simpatico alla nonna e al quale lui stesso era particolarmente affezionato, e la madre/padre di quest ultimo, le fanno una proposta che non rifiuta, trovandosi a vivere sul loro divano.
Le vicende si intrecciano cosi in un susseguirsi di quotidianità che, se all'apparenza non sembra aver nulla di particolare, ci mostra come con grande garbo vengono affrontate alcune delle tematiche più intime. Nella narrazione di ben due lutti, uno nella famiglia d'origine e un altro nella famiglia adottiva, Mikage si ritrova a fare i conti con una società che non sa affrontare e gestire chi ha un pensiero non in linea con i canoni tradizionali. 
Ben venga l'originalità, ma fin tanto che non diventa evidente.
Siamo negli anni in cui da poco, questa terra, ha deciso di mostrarsi al mondo. Un popolo che accetta silenziosamente a condizione di non dover mai mostrare più del necessario.
E' sulla base di questo che i nostri “attori” ci mostrano la difficoltà di crescere quando il dolore è forte, quando la vita non sembra dare la spinta giusta in una cultura in cui la sofferenza deve rimanere una questione personale.
In solitudine.

Condizione nella quale ci ritroviamo anche nell'ultimo breve racconto che questo libro ci presenta. La storia di due ragazzi giovani, ma già pieni di grande rimorso nei confronti della vita, Sastuki e Hiiragi. Sembra gli sia stata imposta troppo presto, ingiustamente, una lezione che veste come un fardello pesante da portare con se, più precisamente come una divisa scolastica troppo stretta. Entra in scena, in un secondo atto, Urara che permette a Sastuki (e involontariamente ad Hiiragi) di trovare coraggio nella sofferenza e di far di essa l'unico appiglio verso il futuro. Congedandosi dalla perdita di una persona amata, in un ultimo saluto, e riconciliandosi con la vita da creditrice.

Non è facile seguire un racconto di questo tipo. L'autrice è ormai sulla scena da lungo tempo ed è conosciuta per la sua grande capacità di toccare un vasto repertorio di sentimenti non cadendo mai nel banale, ma rimanendo sempre un passo indietro per permettere a noi di esprimere al meglio i nostri sentimenti durante la lettura. 

Non posso dirvi che questo libro sia per tutti, non per tutti i periodi della vita. Credo sinceramente sia un libro che scelga il destinatario, e non viceversa, che sa quando capitare nella vita di chi ne ha bisogno. 
Uno di quei romanzi che va ascoltato più che letto, che va accolto e non cercato. Non si prefigge di insegnarvi qualcosa, quanto piuttosto di accogliere le vostre incertezze e permettervi di conoscere meglio se stessi.

Il voto di Jessica é:
4/5


Qui si conclude la prima recensione di questa piccola rubrica!
Spero che l'idea vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate!
Sapete che apprezzo sempre i vostri pareri.
Ma soprattutto: 
Avete letto Kitchen? 
Me lo consigliate? 
Vorreste leggere anche il mio parere?

A presto!

Silvia e Jessica

2 commenti:

  1. Ciao, io l'ho letto una prima volta quando uscì, poi lo rilessi ad anni di distanza. Mi è piaciuto molto entrambe le volte (non è una cosa scontata, mi è capitato di rileggere libri che avevo amato e che, a distanza, non mi sono più piaciuti altrettanto). Io l'ho sempre interpretato come un libro sull'eleaborazione del lutto, per cui ci sta che non sia per tutti e non sia per tutti i periodi della vita. Resta uno dei lavori migliori della Yoshimoto.

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    1. Ciao! Della Yoshimoto io (Silvia) ho letto solo Il giardino segreto, ma ho anche qualche altro suo volume in libreria, che conto di recuperare al più presto (sperando di avere un po' di tempo in più) e ne ho diversi in lista acquisti, perché ha uno stile di scrittura che mi piace molto.
      Spero di recuperare anche questo, anche se, come dici tu, bisogna aspettare il momento giusto.

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