Sette anni in Tibet
di Heinrich Harrer
Editore: Mondadori
Pagine: 437
Prezzo: 20,90€ (ebook 6,99€)
Trama:
Al principio del 1939 Heinrich Harrer, ex campione di sci e famoso alpinista austriaco, viene scelto per partecipare alla spedizione sul Nanga Parbat. Tornerà in patria solo dopo incredibili eventi: sarà internato in un campo di concentramento, evaderà più volte, riuscendo a penetrare in terre mai visitate da un occidentale e a fare amicizia con il giovane Dalai Lama; ma soprattutto conoscerà e sarà conquistato da una cultura antica e affascinante, di cui diventerà il paladino. Sette anni in Tibet è non soltanto il racconto appassionante di questa straordinaria esperienza - un'avventura al limite dell'incredibile - ma anche una testimonianza storica e umana sugli ultimi anni del Tibet indipendente, alla vigilia della drammatica invasione delle truppe cinesi.
Sette anni in Tibet è un film che ho sempre molto apprezzato e, pur sapendo che era tratto da una storia vera, solo di recente ho scoperto essere tratto anche da un libro omonimo.
Questo libro, in formato cartaceo è piuttosto difficile da trovare in libreria (e anche costosetto, per i miei gusti) così mi sono molto sorpresa di trovarlo in ebook e pure in offerta. Inutile dire che ne ho subito approfittato!
Non vi riporterò la trama scritta da me perché non sarebbe per niente facile e anche perché quella che potete leggere qui sopra dice a sufficienza.
Trattandosi del racconto di una storia vera, questa recensione sarà leggermente più breve delle precedenti e, visto che ci sono, pensavo anche di fare un piccolo confronto con il film, di certo più conosciuto del libro.
La prima cosa che vi voglio dire di questo libro è che, oltre a raccontare le vicende di Heinrich Harrer, offre un interessante resoconto della storia del Tibet.
L'autore, nonché protagonista, infatti, riporta in maniera precisa e dettagliata quella che è la sua avventura tra i monti della catena himalaiana, fornendo dati tecnici ma anche culturali e sociali.
Sono molto interessanti i momenti in cui lascia da parte la narrazione regolare, per soffermarsi su alcuni aspetti particolari della cultura tibetana e limitrofa.
Questo secondo me è il punto di forza di questo romanzo, perché sulla storia e la cultura del Tibet si sa davvero molto poco!
Un'altra cosa che mi ha colpito è il rapporto che Harrer riesce ad instaurare non solo con il Dalai Lama, ma anche con la popolazione di Lhasa. Riuscendo ad integrarsi piuttosto bene, nonostante le non poche difficoltà iniziali. Anche in questo caso è interessante leggere i piccoli excursus sulla vita quotidiana a Lhasa o su quella del Dalai Lama.
Ovviamente, trattandosi di persone reali, non mi posso soffermare sulla caratterizzazione dei personaggi, perché non credo avrebbe un gran senso.
Mi sento però di dedicare un paio di righe ad un breve confronto con la trasposizione cinematografica, perché ho trovato la resa dei personaggi non molto fedele a come sono nel libro.
Quello che più mi ha lasciato perplessa è lo stesso Harrer, che nel film viene dipinto come uno scalatore famoso che gode della sua fama e si presenta spocchioso e arrogante nei confronti dei compagni di cordata. Nel film, Harrer si sente migliore e superiori ai suoi compagni, anche nel momento in cui si trovano reclusi nel campo di prigionia, quando invece dovrebbero fare gruppo e aiutarsi tra loro. Anche con Peter Aufschnaiter, che sarà il suo compagno di avventura fino alla fine, nel film si dimostra poco amichevole, entrando in competizione e considerandolo più un sottoposto che un pari.
Mi chiedo come mai ci sia stato questo sviluppo durante le riprese della pellicola, dato che nel libro avviene l'esatto contrario!
Harrer non è borioso, supponente o arrogante, ma anzi si dimostra altruista e disposto a collaborare con i compagni di prigionia. Con Aufschnaiter instaura un buon rapporto di amicizia e non lo considera mai ad un livello inferiore al suo, anzi tiene molto in considerazione il suo parere e i suoi consigli.
Per carità, Brad Pitt è sempre Brad Pitt, e qui non ho assolutamente nulla da dire!
Ho trovato ottima la sua interpretazione, così come quella di David Thewlis (il caro Remus Lupin di Harry Potter), che ho trovato davvero adatto al personaggio e, in questo caso, ben reso rispetto al libro.
Per quanto riguarda, invece, quello che non mi è piaciuto, ho solo un punto da portare e si tratta della totale mancanza di dialogo.
Sì, avete capito bene: in questo romanzo non c'è traccia di dialogo, se non sporadiche frasi riportate tra virgolette.
L'intero romanzo è, ovviamente, narrato in prima persona da Harrer che riporta la vicenda a metà tra un racconto e un diario. Sapete che non apprezzo la prima persona, ma in questo caso è stata un espediente narrativo ben congeniato, perché permette al lettore di sentirsi molto più coinvolto.
Diciamo che la mancanza di dialogo non ha tolto nulla alla vicenda che, anzi, è narrata molto bene e in maniera piuttosto coinvolgente, piuttosto ne ha risentito la scorrevolezza della lettura.
Secondo il mio punto di vista puramente personale, il dialogo è parte fondamentale della narrazione. Per quanto la storia possa essere entusiasmante e piena di dettagli interessanti, il tutto finirà per risultare pesante e noioso, e il lettore rischia di perdere interesse nella vicenda.
In generale, comunque, Sette anni in Tibet è stata una lettura interessante e che, tutto sommato, mi sento di consigliare, soprattutto a chi è particolarmente interessato alla "questione Tibetana" e agli usi e costumi di questa popolazione così poco conosciuta e bistrattata.
Ho trovato il libro decisamente migliore del film che, a posteriori, si è rivelato poco attinente ai fatti. Ma questa è un'altra storia...
Se vi interessa la mia opinione sul film, fatemelo sapere, magari ne parlerò in un breve post su facebook 😉
Il mio voto è:
✰✰✰ e mezzo
3,5/5
Alla prossima!
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